sabato 18 giugno 2016

Le ultime lettere di Pietro De Cupis, difensore del Monte Asolone

Ci si concederà la licenza di aver voluto riecheggiare, nel titolo di questo post, una celebre opera del Foscolo. Eppure, ci piace credere che il sommo Autore non si adonterà del fatto di essere citato in questo blog, ispirato, in fondo, agli stessi sentimenti da lui cantati nei "Sepolcri". Non di parodia, dunque, ma di omaggio si tratta; come si noterà leggendo della breve vicenda di un giovane "forte" di cento anni fa, del quale chi scrive ha recuperato alcuni ricordi.

Pietro De Cupis, aspirante del 254° regg. fanteria Brigata "Porto Maurizio". Foto tratta dal volume "I caduti di Poggio Moiano e Cerdomare nella Grande Guerra" di A. Del Vescovo.

Pietro Lamberto De Cupis nacque il 2 aprile del 1894 a Poggio Moiano, piccolo comune dell'Alta Sabina che, al tempo, faceva parte della "Provincia dell'Umbria". I genitori erano Sante De Cupis e Giuseppa Santoboni. Il padre, nel 1901, aveva superato l'"esame di patente di segretario comunale" [1], il che doveva averlo spinto, insieme alla famiglia - della quale faceva parte almeno un fratello, Dionigi -, a lasciare il borgo natio per trasferirsi altrove. Intorno agli Anni Dieci, i De Cupis si erano infine trasferiti a Roma. Il giovane Pietro proseguì gli studi, iscrivendosi, probabilmente, anche all'università: ciò lo si trae dal fatto che, ventenne, fu registrato dalla commissione di leva quale studente.
Per l'appunto, nel novembre del 1914, il nostro fu chiamato al reclutamento con la classe del 1894 di fronte al consiglio di leva di Rieti: tuttavia, trovandosi a Roma, il giovane non dovette avere contezza della chiamata alla leva, finendo per essere addirittura dichiarato "renitente", con tutte le spiacevoli conseguenze del caso. Chiarito il disguido, egli fu dunque ammesso alla visita di leva "per delegazione" a Roma. Visitato dunque in gennaio, fu giudicato affetto da insufficienza toracica, e dunque "mandato rivedibile" ad altra visita, da tenersi nel luglio 1915, per "debole costituzione". Lo specchietto dei "contrassegni personali" ce lo descrive alto 1.70 m, con capelli castani lisci, occhi castani, e di colorito roseo.
L'entrata in guerra del Regno d'Italia, il 24 maggio 1915, non comportò apparenti stravolgimenti ai ritmi dell'amministrazione militare, tanto che De Cupis fu sottoposto a nuova visita addirittura a metà agosto. Anche in tale occasione, i medici confermarono la "debolezza di costituzione" del giovane, rimandandolo "alla ventura leva". Di quella estate, ci è pervenuta un breve cartolina del giovane Pietro, che da Veroli, nel frusinate, scriveva al padre:
  • Da Veroli (Frosinone), il 30 luglio 1915.
"Carissimo papà,  
la mia salute è [ottima] e così mi auguro sia la tua e di tutti di casa. Avete buone notizie degli amici e parenti combattenti? Auguriamoci che presto i loro sacrifizi siano coronati da pieno successo. - Dionigi come sta? Dov'è? - 
Saluti a tutti, baci a Dionigi e zia 
Vi bacio,
aff[ezionatissimo] Pietruccio"

Simpatica cartolina satirica relativa alla presa di Ala (TN), spedita da Pietro De Cupis il 30 luglio 1915 (coll. privata).

Del successivo svolgimento della vicenda umana e militare del giovane De Cupis, sino al 1917, non può purtroppo dirsi molto, in mancanza di corrispondenza e a causa della dispersione della documentazione matricolare [2]. Da quanto emerso, si è potuto appurare che egli fu nuovamente rimandato alla leva successiva - presumibilmente per i medesimi problemi fisici già emersi - e fu, infine, arruolato con i coscritti della classe di leva del 1896. A tal proposito, si osserva che le operazioni di reclutamento di tale classe iniziarono già alla fine del 1915, proseguendo sino alla prima metà del 1916.
A nostro avviso, De Cupis dovette infine essere chiamato alle armi negli ultimi mesi di quell'anno. Egli dovette dunque venire a trovarsi in una strana e non semplice situazione: il suo livello d'istruzione - e, ce lo vogliamo immaginare, le sue qualità personali - lo facevano un candidato ideale alla carriera da ufficiale; le sue condizioni fisiche, tuttavia, lo rendevano scarsamente idoneo al ruolo.

In ogni caso, egli fu assegnato alla Fanteria e destinato, dopo altre vicissitudini, al 254° Reggimento della Brigata "Porto Maurizio", unità costituita a febbraio del 1917 nei dintorni di Treviso. In particolare, il 254° era stato formato con aliquote del 79° Reggimento Fanteria della Brigata "Venezia", trovando il proprio deposito sempre presso quest'ultimo reparto, a Verona.

Frattanto, De Cupis era stato nominato "aspirante ufficiale", e assegnato al Battaglione di Marcia della Brigata. Da ulteriori documenti, scopriamo un dettaglio importante: il giovane, in precedenza, doveva aver combattuto sul Monte San Gabriele, ov'era rimasto ferito. E' dunque dubbio se il fatto di essere incaricato di compiti "di retrovia" dipendesse dalle sue non eccellenti condizioni fisiche - che ne avevano ritardato l'arruolamento - o, più probabilmente, dai postumi della ferita riportata in combattimento.

Ad ogni modo, il 13 giugno 1917, egli si trovava coi suoi uomini a Bussolengo, un "importante snodo stradale" a poca distanza da Verona, impegnato nel primo addestramento e nel trasferimento verso il fronte dei complementi provenienti dal deposito. Così scriveva al padre, in questa bella lettera giunta fino a noi:
  • Da Bussolengo (Verona), il 13 giugno 1917.
"Carissimo papà, ho ricevuto oggi la tua del 10 giugno. Per l’affare della rivoltella non so che cosa dirti, indirizzare il pacco ad un borghese non si può più perché dove sono ora non vi sono borghesi, sia perché, anche potendo, io starò poco ad andare nella linea di fuoco. Per ora mi trovo in seconda linea in un importante snodo stradale, attendato su di una collina dove son tutti boschi e perciò ben mascherati dalla vista degli aeroplani che passano frequentemente specie in questi giorni.
Potresti provare a mandare soltanto la rivoltella, lasciando andare le altre cose. La involti per bene con degli stracci qualsiasi e sopra il pacchetto ci metterai che contiene biancheria. Però anche facendo così penso che la cosa andrà molto per le lunghe perché quando arriverà il pacco io già sarò partito da qui e prima che lo rimandino al nuovo indirizzo ci vuole il ben di Dio. Tutto ciò mi secca perché avrei avuto piacere [di] tenere quella rivoltella anziché chiederne una di ordinanza. Basta per ora regolati come vuoi. – Dunque hai ricevuto la mia roba di lana da Pasuello Isabella? St[a] bene. Per ora non ho bisogno di nulla. – 
Mi chiedi della mia  vita, dei miei soldati, ma posso dirti ben poca cosa. Che vuoi, questo è un battaglione di passaggio, una riserva continua per la Brigata che è in linea. – Figurati che la mia compagnia che contava più di 200 uomini si è ridotta ad una ventina di uomini. Devono arrivare altri complementi ai quali mentre si da un po’ di istruzione si mandano via ad ogni richiesta, e le richieste ci sono tutti i giorni. – Così pure gli ufficiali; diversi giorni fa da qui partirono molti aspiranti uno dei quali poverino trovò subito la morte appena giunto in linea [3]. – Così anch’io non so quant’altri giorni potrò rimanere qui, dove in fin dei conti non sto tanto male quantunque a portata di tiro dei shrappnell nemici. – 
Nel giornale di ieri avrai letto il comunicato Cadorna della nostra avanzata. L’azione ha avuto un po’ di pausa ma riprenderà – Non posso prolungarmi di più perché c’è la censura e del resto è patriottico non parlar molto. – Come ti dissi nella mia ultima che non so se hai ricevuto, state tranquilli ma nel contempo preparate gli animi - come del resto filosoficamente faccio io – a cose ben più dure. Nella parte dove è la mia brigata è proprio il perno dell’azione che si svolge nel Trentino [?]. Qui è molto raro avere delle buone giornate, ogni tanto abbiamo delle tempeste, una delle cause per cui le azioni si rendono molto difficili e il soldato ha bisogno di avere sufficiente forza morale e materiale. –
Quei due Monterotondesi [4] che incontrai non saprei precisarteli, so che erano del '97. Il fatto fu così: io andai in mezzo al loro reggimento che era in un prato con tutta la brigata per rintracciare un certo Sandolani di P[oggio]. Moiano che poi non trovai. Mentre domandavo a tutti se conoscevano quest’ultimo mi sento dire a bruciapelo questa frase: “ma tu non se il fratello di Dionigi?” -  Io avevo fretta e scambiai loro [poche] parole augurandogli buone cose. Nel giorno stesso quella brigata partì per il Carso. –
Ti manderò del denaro quando avrò l’indennità di entrata in campagna che ancora non mi hanno data. Il collega di Veroli non mi ha risposto a[lla] cosa che gli chiedevo circa lo stipendio, risponderà quest’altra volta. –
Finora non mi arriva nessun giornale però qui leggiamo il giornale di giornata. Mi rallegro dell’episodio fortunato di Mario. Inviai una cartolina al Dr. Stagni e mi ha cortesemente risposto.
Ringrazio Dionigi della sua lettera e stia allegro. Anche voialtri state di buon animo, in certe circostanze bisogna essere fatalisti, il mio destino è già tracciato. Se devo morire, non c’è da fare proprio nulla. Se invece è destinato diversamente, come mi auguro, non c’è nulla che mi strappa dalla vita. Dovresti essere qui per vedere che movimento di truppe, di camions, di quadrupedi!
Tanti baci affettuosi, Pietruccio"
Busta contenente la lettera inviata da Pietro De Cupis al padre Sante il 13 giugno 1917 (coll. privata).

Da questa missiva, si possono trarre alcune interessanti considerazioni. In primo luogo, dalla posizione geografica nella quale si trovava De Cupis mentre scriveva - appunto Bussolengo - parrebbe escludere che egli potesse trovarsi "a portata di tiro" degli shrapnel austriaci. Egli, come notato, doveva con buona probabilità essere stato incaricato di attività ausiliarie, in seconda linea, quale appunto quella di soprintendere al trasferimento dei coscritti dal deposito reggimentale: probabile, dunque, che il giovane aspirante volesse calcare un po' le tinte nella corrispondenza coi famigliari. Interessanti anche le insistenze per ricevere da casa "quella rivoltella", evidentemente legata a qualche episodio della vita civile, per evitare di usare quella di ordinanza.
Infine, degna di particolare nota è la chiosa finale: "il mio destino è già tracciato. Se devo morire, non c'è proprio nulla da fare". Queste parole rivelano un profondo fatalismo, stato d'animo assai diffuso nei nostri giovani combattenti, ma anche una certa, almeno apparente, serenità di fronte all'eventualità della morte in combattimento, tanto da farne argomento di conversazione epistolare con la famiglia. Il che, per la nostra odierna sensibilità, rappresenta certamente un motivo di profonda riflessione.

Tra le carte del giovane De Cupis giunte fino a noi, si è conservato anche un interessante volantino di propaganda pro-Intesa, redatto in quattro lingue (tedesco, magiaro, sloveno e ceco), e propabilmente concepito per essere lanciato sopra le linee austro-ungariche. Qui ne proponiamo una traduzione:
"L'offensiva tedesca in Francia è fallita. I Francesi e i Britannici hanno condotto un contrattacco vittorioso. Le perdite dei Tedeschi sono terribili oltre qualsiasi immaginazione. Nei primi sei giorni della grande strage sono state distrutte dalla nostra artiglieria e dal fuoco delle mitragliatrici quaranta divisioni tedesche."
Interessante volantino propagandistico quadrilingue (in alto, tedesco e magiaro; in basso, sloveno e ceco), probabilmente redatto dal nostro Servizio P per essere lanciato sopra le linee austro-ungariche



Trascorsero cinque mesi, sino al fatale ottobre del 1917. De Cupis, rimasto aspirante, si trovava ancora presso Bussolengo inquadrato sempre nel battaglione marciante della Brigata "Porto Maurizio".
Nella notte tra il 24 e il 25 ottobre 1917 prese dunque avvio la poderosa offensiva austro-tedesca che produsse lo sfondamento dello schieramento della Seconda Armata presso Caporetto. Gli eventi che seguirono sono tristemente noti, e non crediamo necessario ripercorrerli in questa sede.
I reparti del nostro esercito, sulla fronte Giulia, cominciavano il ripiegamento. Nel volgere di pochi giorni, la necessità di accorciare il fronte - contestualmente al movimento di ripiegamento sul fiume Piave - inducevano il Comando Supremo a disporre anche il ripiegamento dei reparti schierati sul fronte dolomitico.

In quegli stessi giorni, dunque, la Brigata "Basilicata" - formata dal 91° e 92° reggimento di fanteria -, schierata nel settore della Val Boite ed inquadrata al momento nella 17^ Divisione, riceveva l'ordine di ripiegare verso il Piave, per prendere posizione nel tratto di fronte tra il Monte Tomba e la stazione di Pederobba.

Dettaglio di una cartolina reggimentale del 92° Reggimento Fanteria Brigata "Basilicata".

Il movimento fu concluso intorno al 10 novembre: dal 10 al 21 novembre, i reparti della "Basilicata", affiancati dalla Brigata "Como" e da unità di Alpini, Bersaglieri e Arditi, combatterono accanitamente per difendere il Monte Tomba e il Monfenera dai continui attacchi degli Austro-Tedeschi. Il 22, attaccata dal nemico in forze, la "Basilicata" fu costretta ad arretrare sul Campore Alto: qui resistette in linea sino al 26 novembre quando, per le pesantissime perdite subite, i suoi reggimenti furono ritirati dalla prima linea e inviati a Crespignaga, a poca distanza da Asolo, per riordinarsi.
Gli eventi finirono, così, per travolgere anche il giovane aspirante De Cupis, che ancora si trovava a Bussolengo presso il battaglione di marcia della "Porto Maurizio". Era giunta anche per lui l'ora di tornare in prima linea, come faceva intuire al padre in questa brevissima cartolina del 21 novembre:
  • Da Bussolengo, 21 novembre 1917.
"Carissimo papà, 
domattina partiamo per ignota destinazione. Appena a posto ti manderò indirizzo.-
Io bene, state tranquilli.-
Saluti a tutti. -
Baci a zia e a Nicolino.

Un abbraccio, tuo aff[ezionatissimo] Pietruccio"

Pietro De Cupis, dunque, lasciava Bussolengo e le retrovie, per raggiungere la zona di guerra, in attesa di essere destinato a un reparto operativo. Intanto, intorno al 26 novembre, come già detto, la Brigata "Basilicata" - provata e pressoché decimata durante gli asperrimi combattimenti sostenuti sul Monte Tomba - era ritirata dalla linea e inviata in zona di riposo.
In quegli stessi giorni, De Cupis raggiunse dunque gli accantonamenti di Crespignaga, e lì fu assegnato al 92° Reggimento Fanteria. Il 28 novembre, egli si affrettò così a darne notizia alla famiglia, comunicando la sua nuova incorporazione:
  • Dalla Zona di Guerra, 28 novembre 1917.
"Immagino la vostra preoccupazione per non aver ricevuto mie notizie in quest'ultimi giorni. Non è dipeso certo da me. -
State tranquilli, io sto bene e presto vi darò migliori notizie.
Il mio indirizzo:
92° Regg. Fanteria
7^ Compagnia
Z. d. G.
Saluti a tutti, Vi bacio con affetto,
Pietruccio.
Cartolina spedita da Pietro De Cupis  alla famiglia il 28 novembre 1917.

Nei giorni successivi, De Cupis prese così parte alle frenetiche attività per riportare in efficienza il reggimento e prepararlo a tornare in linea. Il momento era decisivo, ed era necessario il sacrificio di tutti: anche di chi, come il giovane aspirante, non si trovava probabilmente nelle condizioni fisiche idonee per un attivo impiego in combattimento.
Immaginiamo dunque questo giovinotto, con la sua salute malferma, che, dalla tranquilla routine delle retrovie, si trovò proiettato in uno dei punti più caldi del fronte.
Pietro De Cupis, assegnato, come s'è detto, alla 7^ compagnia del III Battaglione del 92°, fu posto al comando di una sezione di pistole-mitragliatrici.

Il 13 dicembre, i due reggimenti della "Basilicata" - assegnati alla 59^ Divisione - lasciarono la zona di riposo e fecero ritorno in prima linea sul massiccio del Monte Grappa. Qui, dal giorno 11, infuriava la lotta: era, infatti, ripresa l'offensiva austro-tedesca in tale settore, dando luogo alla seconda fase di quella che sarebbe passata alla storia come la "Battaglia d'Arresto" del Monte Grappa. I nostri soldati si sacrificavano sulle quote che fanno da contorno a Cima Grappa: il Col Caprile, il Col della Berretta, il Col dell'Orso, il Monte Solarolo, il Monte Spinoncia, il Monte Tomba - già ben noto ai fanti della "Basilicata" - e il Monte Asolone.
Il giorno 18 dicembre, l'aspirante Pietro De Cupis si trovava, al comando della sua sezione di pistole-mitragliatrici, schierato a difesa di una posizione sul Monte Asolone. Allo scatenarsi dell'attacco austro-ungarico, questo giovane ventiquattrenne, dal "torace insufficiente", impugnò una Villar-Perosa, non si mosse d'un passo, e aprì il fuoco, sinché non fu sopraffatto dalle pallottole avversarie. Ferito a morte, fu soccorso e portato presso l'88ª Sezione di Sanità, ove poco dopo avrebbe esalato l'ultimo respiro.
Alla sua memoria sarebbe stata conferita la Medaglia d'Argento al Valor Militare, con questa motivazione:
“Comandante di una sezione pistola-mitragliatrici, avuto l’ordine di far fronte all’avversario, forte in numero e imbandalzito da un primo successo, con ardimento e fermezza, facendo egli stesso fuoco con un’arma, mantenne saldamente la posizione, finché cadde colpito a morte.” – Monte Asolone, 18 dicembre 1917.
Nonostante il sacrificio del giovane aspirante e dei suoi bravi commilitoni, il possesso del Monte Asolone fu perduto dagli Italiani. Tuttavia, anche grazie al contributo di rinforzi Alleati, dopo altri quattro giorni di combattimenti l'offensiva austriaca fu bloccata: la "Battaglia d'Arresto" era conclusa, il piano del nemico era fallito.
Chissà quali erano le "migliori notizie" che Pietro De Cupis avrebbe voluto comunicare in futuro ai suoi cari, in quella che fu, probabilmente, l'ultima sua corrispondenza scritta in vita. Tra esse, tuttavia, ci sarebbe certamente stata anche anche quella di non aver mancato al proprio dovere, e di aver contribuito al successo delle armi italiane.
Tra le poche sue carte pervenuteci, si trova anche questa commovente bozza dell'epitaffio che, probabilmente, il padre gli volle dedicare. Con esso chiudiamo questo articolo.

Sia fulgido esempio ai venturi

LAMBERTO PIETRO DE CUPIS

Fior di soldato, di cittadino, di figlio

Che, non ancora ventiquattrenne,

Trattosi con periglio e ferito

Dalle balze del San Gabriele

Effondeva poi tutto il suo sangue

Fino all’ultima stilla

Sul sacro Monte del Grappa

Meritando così

A sé stesso la medaglia d’argento dei valorosi

Alla famiglia, ai parenti l’orgoglio del vincolo

Alla Patria il serto della Vittoria.

 

 


A cura di Niccolò F.

NOTE
[1] In G.U. n. 101 del 1901.
[2] Sotto questo profilo, ci sentiamo di ringraziare il personale degli Archivi di Stato di Orvieto e Viterbo che, con grande disponibilità, hanno tentato di aiutarci nella complessa ricerca, che del resto non è stata priva di risultati.
[3] Si trattava con buona probabilità dell'aspirante Francesco Squassante da Castelbelforte (MN), nato il 23 agosto 1897 e caduto sul Monte Rasta il 10 giugno 1917.
[4] Presumibile riferimento al Comune di Monterotondo, nei dintorni di Roma.

BIBLIOGRAFIA
- A. Del Vescovo, I Caduti di Poggio Moiano e Cerdomare nella Grande Guerra 1915-1918.
- P. Volpato, Asolone, monte di fuoco,  Nordpress 2008.
- Riassunti storici dei Corpi e Comandi, Vari Volumi, Roma, Libreria dello Stato.