sabato 14 ottobre 2017

Al caporale Gatti, da Novara, caduto nella battaglia di Zagora


Sulle bancarelle dei tanti mercatini domenicali della nostra Penisola, non mancano mai scatole e album ricolmi di santini: ricordi di cresime, battesimi, e - più spesso - di cari estinti di un tempo che fu. 
A chi scrive, la scorsa domenica è capitato di imbattersi nel luttino dedicato alla memoria del caporale Giovanni Luigi Gatti di Novara. In suo omaggio, in questo breve post ricorderemo il fatto d'arme in cui trovò la morte, il 12 novembre del 1915.
Giovanni Luigi Gatti, qui in uniforme da fante dell'89° Reggimento della Brigata "Salerno".
Non sappiamo nulla della giovinezza del fante Gatti, se non che venne alla luce il 9 aprile del 1889 nella città di Novara. Ci s'impone dunque un salto cronologico, sino al 1915. Dalla foto che i suoi cari scelsero per lui, scopriamo che dovette prestare servizio - immagineremo, al momento del suo richiamo alle armi - nell'89° Reggimento Fanteria della Brigata "Salerno", di stanza a Genova. Successivamente, sarebbe stato trasferito invece al 126° Reggimento della Brigata "Spezia". Questa era una brigata di Milizia Mobile costituita - mediante il richiamo di coscritti dal congedo - nel marzo dello stesso anno 1915.
Inquadrata nella Seconda Armata, la Brigata “Spezia”, nel corso dell'estate, avrebbe partecipato alle sanguinose offensive dirette ad espugnare, in particolare, il Monte Kuk ed il Monte Sabotino. Ritirata dalla linea, alla fine di settembre fu trasferita nella zona di Prepotto (UD), attraversando il fiume Iudrio, per trascorrere il turno di riposo.  
Cartolina reggimentale del 126° Regg. Fant. Brigata "Spezia".
Il 20 ottobre, iniziata la Terza Battaglia dell’Isonzo, la “Spezia” ripassò lo Iudrio e si portò prima a Zapotok, e poi tra i villaggi di Lig e Kambresco, ove il 23 fu raggiunta dai nuovi complementi.
Gli ultimi giorni di ottobre trascorsero così nella preparazione del nuovo attacco: esso era concepito con l’obiettivo di oltrepassare l’Isonzo e creare una testa di ponte sulla sua riva destra, in corrispondenza del villaggio di Plava[1]. Si trattava, invero, di un piano già tentato il 15 giugno precedente, nel corso della Prima Battaglia dell’Isonzo, con un attacco risoltosi però in una sanguinosa sconfitta, con i nostri reparti costretti a ripiegare nuovamente sulla riva sinistra del fiume.
Tra i fanti della Brigata "Spezia", vi era anche un giovane ufficiale livornese: il tenente Giosuè Borsi[2] - inquadrato nella 4^ Compagnia del 125° Reggimento - raffinato intellettuale, scrittore e giornalista, nonché originale figura di dandy e volontario di guerra. Questa la descrizione che lasciò di quei luoghi e di quei giorni: 
Finalmente ci siamo messi in marcia sotto la luna, abbiamo salito il monte, siamo discesi dall’altro versante e, giunti sulla riva dell’Isonzo, ci siamo disposti in linea. Fino all’alba ho lavorato coi miei soldati a scavare la nostra trincea, vi ho disposto tre delle mie squadre e ne ho condotto una quarta con me, in questa trincea coperta, lasciata dagli avamposti. Sotto questa trincea scorre l’Isonzo, che vediamo dalle feritoie in tutta la sua incantevole bellezza. A monte, sulla nostra sinistra, è il punto della riva dove sarà gettato il ponte per il nostro passaggio. A valle si trova la testa di ponte di Plava, con due reggimenti pronti a rincalzare la nostra avanzata.[3]
All’alba di lunedì 1° novembre, la brigata “Spezia”, insieme al resto della 3^ Divisione, dopo un intenso tiro eseguito dalle nostre artiglierie, si lanciò dunque all’attacco delle posizioni austriache dell’abitato di Globna (a nord del villaggio di Plava), già conteso nella Prima Battaglia dell’Isonzo, in giugno, dagli stessi reparti. Gli austriaci, però, si trovavano schierati su posizioni ottimamente organizzate e ben protette dai reticolati. Dopo aver attraversato l’Isonzo su barche e su alcune passerelle gettate nella notte, sotto il fuoco martellante della fucileria nemica, gli Italiani raggiunsero la riva destra, e mossero all’assalto dei loro obiettivi. Tuttavia, a causa della violentissima reazione nemica, l’azione, da parte del 126° regg. e del II battaglione del 125° non portò a grandi risultati e dovette essere arrestata. Trovò invece una maggiore fortuna l’attacco intrapreso dal I e III btg. del 125° che assaltarono di sorpresa e conquistarono parte dell’abitato di Zagora – una frazione di Plava - e l’antistante “trincerone della Casa Isolata”, catturando oltre trecento prigionieri e molto materiale. Il valore e il contegno dei fanti del 125° fu tale da far guadagnare la Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla bandiera del reggimento[4], con questa motivazione:
Con salda disciplina ed impeto travolgente, conquistò alla baionetta il villaggio di Zagora, tenacemente difeso.
La brigata sopportò però delle gravi perdite, nell’ordine di 23 ufficiali e 480 uomini di truppa. Con questo attacco, gli Italiani riuscirono tuttavia ad attestarsi sulla riva orientale dell’Isonzo, creando una piccola testa di ponte: il mantenimento di essa si rivela però da subito difficilissimo, sia in termini di rifornimento, che di protezione dal tiro delle artiglierie, delle mitragliatrici e dalle continue puntate nemiche.[5] Inoltre, un’ampia parte del paese rimaneva ancora in mano austriaca. Si combatteva via per via, casa per casa: il paese, già ridotto a un cumulo di rovine, diventò un cimitero a cielo aperto dato che la vicinanza delle rispettive linee rendeva infatti impossibile anche il recupero dei cadaveri.  Inoltre, le condizioni metereologiche, già assai precarie, peggiorarono ulteriormente nei giorni seguenti.
Dopo oltre una settimana passata a riordinare le fila della brigata e a tentare di consolidare le posizioni acquisite, sotto il tiro continuo delle artiglierie nemiche e con numerosi tentativi di colpi di mano da parte austriaca, i comandi italiani decisero di tentare un nuovo attacco per sbloccare la situazione, tentando la conquista delle pendici meridionali del Monte Cucco e della parte del paese ancora in mano avversaria.
Al mattino del 10 novembre, i fanti della “Spezia” scattarono verso i propri obiettivi: il combattimento, con alterne vicende, proseguì sino al giono 15. Tuttavia, gli Austro-Ungarici, ben arroccati nelle loro posizioni, respinsero tenacemente ogni attacco, ed i progressi per gli Italiani si rivelarono assai ridotti. Terminati i combattimenti, gli Italiani contarono 264 prigionieri catturati, ma, oltre a dover contare più di cinquecento feriti, lasciarono sul terreno sei ufficiali e un centinaio di militari di truppa. Tra gli ufficiali, cadde - il giorno 10 novembre - il già citato tenente Giosué Borsi. Il nostro Giovanni Gatti, invece, trovò la morte il giorno 12, "colpito alla fronte" mentre "arditamente avanzava con i suoi compagni d'arme", come recita il santino dal quale ha preso le mosse questa narrazione [6].

Pochi giorni prima, il ten. Borsi aveva scritto alla madre: 
Qua, staccato dal mondo, sempre con l’immagine della morte imminente, ho sentito quanto sono forti i legami col mondo, quanto gli uomini abbiano bisogno d’amore reciproco, di fiducia, di disciplina, di concordia e d’unità, quanto siano necessarie e sacrosante cose la patria, il focolare, la famiglia, quanto sia colpevole chi le rinnega, le tradisce, le opprime. Amore e libertà per tutti, ecco l’ideale per cui è bello offrire la vita. Che Dio renda fecondo il nostro sacrificio, abbia pietà degli uomini, dimentichi e perdoni le loro offese, dia loro la pace, e allora, mamma, non saremo morti invano. Ancora un tenero bacio.[7]
Dopo centodue anni da quel giorno di novembre, si può solo pensare alla sorte, agli eventi che misero fianco a fianco uomini così diversi - come il tenente Borsi e il caporale Gatti -, così distanti nella vita, e li unirono, per sempre nella morte e nel ricordo.

A cura di Niccolò F.


[1] Plava (Plave), è oggi uno dei 19 naselja (“insediamenti”) di cui è formato il municipio sloveno di Canale d’Isonzo (Kanal ob Soci).
[2] Giosuè Borsi (Livorno, 1888-Zagora, 1915) è stato un giovane e raffinato intellettuale, scrittore, poeta e giornalista, nonché originale figura di dandy. Volontario di guerra, cadrà anch’egli a Zagora il 10 novembre 1915.
[3] G. Borsi, “Testamento spirituale”.
[4] Boll. Uff. 1917, disp. 1°, MBVM alla Bandiera del 125° Regg. Fant.
[5] P. Pieri, G. Rochat, “Pietro Badoglio”, pag.36 :“A Plava attacchi e contrattacchi d’estrema violenza, senza interruzione, giorno e notte, e poi, dal 1° al 4 novembre, un vero inferno: due divisioni sono pestate da ogni parte dall’artiglieria nemica e falciate dalle mitragliatrici!”.
[6] Si consideri che il solo 126° Reggimento Fanteria, nel periodo intercorrente tra il 1° e il 15 novembre, dovette contare 3 morti e 29 feriti tra gli ufficiali, e 129 morti, 924 feriti e 42 dispersi tr a il personale di truppa.
[7] G. Borsi, Op. Cit.

domenica 1 ottobre 2017

Breve profilo del maggiore Camillo Pasquali, alpino siciliano, eroe del Castelgomberto

Nel trattare delle vicende del sottotenente Pier Felice Vittone, al quale abbiamo dedicato un ampio articolo (vedi qui), si è brevemente accennato alla figura del maggiore Camillo Pasquali
Questi, bravo ufficiale veterano della Guerra Italo-Turca e comandante del Battaglione "Val Maira"  fino ai furibondi combattimenti del giugno 1916 sul Monte Castelgomberto, si ritrovò accomunato nella morte al suo giovane subalterno Vittone. Avendone casualmente reperito il ritratto, a lui dedichiamo questo breve post.


Camillo Pasquali, qui capitano degli Alpini (anno 1910 ca.).

Camillo Pasquali nacque a Siracusa il 22 settembre del 1874. Intrapresa la carriera militare, frequentò l'Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena, uscendone - invero non giovanissimo - sottotenente nel 1897 [1]. Fu dunque assegnato all'arma di Fanteria, prestando servizio di prima nomina nel 41° Reggimento della Brigata "Modena". In seguito, promosso al grado di tenente, fu trasferito al Corpo degli Alpini, al quale avrebbe consacrato i successivi anni della sua vita.
Successivamente, si sposò, ed ebbe ben sette figli.
Nel 1908, mentre si trovava assegnato al 2° Reggimento Alpini, diede una prima prova del suo temperamento coraggioso. Mentre, coi suoi uomini, era impegnato in un'escursione in montagna nel territorio del comune di Ovaro (in provincia di Udine), accortosi che uno di essi era scivolato in un torrente, vi si gettò per soccorrerlo. L'atto coraggioso, ma temerario, gli valse la sua prima Medaglia d'Argento al Valor Militare, nella cui motivazione possiamo anche scorgere l'esito del suo slancio:

Durante un’escursione in montagna, visto uno dei propri sodali cader nelle acque di un impetuoso torrente, con generoso slancio si gettò al suo soccorso, riuscendo però a scampar egli stesso dalla morte sol per l’aiuto offertogli da altri militari. – Ovaro (Udine), 10 maggio 1908.”
Il tenente Pasquali e lo sfortunato alpino furono, infatti, salvati dal coraggio del caporalmaggiore Eugenio Oniboni, da Castelnuovo Magra, che si guadagnò a sua volta la Medaglia d'Argento:
Nella predetta circostanza, arditamente si slanciò pel primo nelle acque del torrente al soccorso dei pericolanti, che, con grande sforzo, aiutato da altri, riuscì a fermare ed a spinger a riva.”
Trascorsi tre anni da questo avvenimento, scoppiò la Guerra Italo-Turca. Camillo Pasquali, intanto promosso al grado di capitano, prestava servizio nel 1° Reggimento Alpini. Scelto per essere aggregato al Corpo di Spedizione, fu inviato in Cirenaica, ove combattè - non ci è stato possibile determinare con quale battaglione [2] -, in particolare, presso Derna. Per il contegno dimostrato in combattimento, fu decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare:
Per lo slancio, l’intelligenza, la calma con la quale comandava il proprio reparto nei combattimenti del 17 gennaio e del 3 marzo 1912. – Derna, 17 gennaio e 3 marzo 1912”
Rimpatriato, riprese l'ordinario servizio di caserma. Nell'estate del 1914, "per speciali benemerenze acquistate in Libia", fu nominato cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia motu proprio dal Re Vittorio Emanuele III [3].  
Nel 1915, al momento dell'entrata in guerra del Regno d'Italia, si trovava, sempre con il grado di capitano, assegnato al Battaglione "Val Maira", del 2° Reggimento Alpini.
Riprendendo brevemente quanto già narrato con riferimento al sottotenente Vittone, ricordiamo che nel corso della prima metà di giugno del 1915, il "Val Maira" si portò al completo nel settore dell'Alto But, sostituendo il battaglione "Val Tagliamento" nell'occupazione delle posizioni sulla linea selletta Freikofel-Monte Pal Grande
Il battaglione restò su tali posizioni sino al mese di settembre, alternando il presidio delle linee - insidiato da frequenti puntate del nemico - a periodi di riposo trascorsi a Treppo Carnico. 

Il 19 settembre, a fronte del rischio di un attacco nemico sul Freikofel, il comandante del Battaglione - maggiore Antonio Dadone - , insieme alla 218a compagnia, si portò presso Casera Pal Piccolo, schierandosi a difesa del Pal Piccolo per poi trasferirsi sul Pal Grande. Su tali posizioni, nonché in altre del Monte Croce carnico e della Val Collina, il "Val Maira" trascorse gli ultimi mesi del 1915.
Il 30 dicembre del 1915, il capitano Pasquali assunse - dal cedente capitano Giuseppe Cremascoli - il comando del Battaglione "Val Maira".
La prima parte del nuovo anno 1916 non vide il Battaglione impegnato in particolari operazioni, dovendosi esso tuttavia confrontare con il grande pericolo di valanghe, che determinò adattamenti delle linee di occupazione, così come dolorose perdite tra le nostre file.
Intanto, a far data dal 17 febbraio 1916, Camillo Pasquali fu promosso al grado di maggiore.
Nella notte del 26 marzo, il nemico, agendo di sorpresa e senza preparazione d'artiglieria, riuscì a conquistare una quota centrale del Monte Pal Piccolo: i contrattacchi italiani del giorno seguente videro impegnata, in particolare, la 218a e la 219a compagnia, la quale ultima subì forti perdite.
Il brillante contegno del suo Battaglione fruttò al capitano Pasquali una seconda Medaglia d'Argento al Valor Militare:
Con mirabile coraggio ed intelligenza eseguiva l’ordine ricevuto dal comandante delle truppe di attaccare energicamente l’avversario, in modo tale da impedirgli di accorrere in altra posizione, riuscendo brillantemente nello scopo. – Pal Piccolo, 26-27 marzo 1916”
Successivamente, a metà aprile, il Battaglione "Val Maira" sostituì riparti dei battaglioni "Monviso" e del "Dronero" sulle posizioni di colletta Kozliac, Monte Nero e Monte Rosso rimanendovi fino ai primi di maggio, quando, il 10, si portò nuovamente a Kosec per provvedere a lavori stradali.
Dopo un altro turno di trincea e una settimana trascorsa sul Monte Pleca (15 - 22 maggio), il "Val Maira" rientrò a Cividale; il 24 fu trasferito a Bassano a disposizione della 1a Armata, ed il 27 si spostò nuovamente a Ronchi.
In quei giorni, era in pieno svolgimento l'offensiva di primavera sferrata dall'esercito imperial-regio sul fronte degli Altopiani (c.d. Strafexpedition), e mentre la linea del XIV Corpo d'Armata si andava deflettendo per la forte pressione avversaria, con i battaglioni "Monviso" e "Val Maira" fu costituito un nucleo avente il compito di garantire il controllo degli sbocchi della val Frenzela.
Il 28 maggio, il "Val Maira" prendeva posizione prima a Monte Nos ed a Monte Baldo poi a Monte Cimon ed a Monte Longara.
Su tali linee, piccoli attacchi di riparti esploranti furono facilmente respinti. Il 30 maggio, giunti nella zona i Battaglioni "Argentera" e "Morbegno" (quest'ultimo, del 5° Reggimento Alpini), con essi, insieme col "Val Maira" e col "Monviso", fu costituito il "Gruppo Alpini Foza".

Al 5 giugno, dunque, le forze del Gruppo risultavano così disposte: il Batt. "Monviso" tra Tondarecar e Castelgomberto; il Batt. "Val Maira" a Castelgomberto; il Batt. "Morbegno" sullo sperone a nord di Monte Fior; il Batt. "Argentera" tra Monte Fior e Monte Spil. In particolare, le cime di Monte Castelgomberto, Monte Fior, Monte Miela, Monte Tondarecar e Monte Badenecche costituivano quello definito, nelle fonti militari italiane, quale complesso montano del Castelgomberto. In questo senso, la fronte del "Gruppo Alpini Foza", come visto, si estendeva - su un'ampiezza di circa quattro chilometri - per l'appunto su tale arco montano.

Teatro d'operazioni del "Gruppo Alpini di Foza"; evidenziate in colore, le principali cime, e l'abitato di Foza.
Alle 11.30 del mattino, le artiglierie austriache aprirono il fuoco sulle posizioni difese dai Battaglioni "Morbegno" e "Monte Argentera", proseguendolo sino alle 18.00, ora in cui reparti dell'11a Brigata austro-ungarica mossero all'assalto. Gli alpini resistettero fino all'esaurirsi dell'attacco, a tarda sera: la ritirata dei reparti attaccanti avvenne intorno alla mezzanotte.
Il giorno successivo, 6 giugno, le operazioni subirono una sosta, e frattanto la direzione delle operazioni nel settore Melette-Marcesina fu assunta dal comandante del XX Corpo d'Armata, tenente generale Luca Montuori. Nell'ordine di operazioni diramato, il compito del XX Corpo fu fissato, prima di passare all'offensiva, in quello di "opporsi energicamente ad ogni ulteriore avanzata del nemico verso la valle del Brenta ed affermarsi sulle posizioni del Monte Lisser e Monte Meletta di Foza" [5].
Il mattino del giorno dopo, 7 giugno, alle ore 10.30, le artiglierie imperial-regie ripresero a battere le posizioni italiane del settore, e in particolare quelle del Monte Fior e del suo sperone nord, difeso, come si è visto, dagli alpini del Battaglione "Morbegno" (5° Reggimento). In rinforzo a questi fu inviata, tra gli altri reparti, anche la 219a compagnia del "Val Maira".

Le altre due compagnie del Battaglione (la 217a e la 218a), al comando del maggiore Pasquali, restarono invece schierate sul Monte Castelgomberto.
Si era, dunque, nel pomeriggio inoltrato del 7 giugno. Il combattimento infuriava, e gli assalti degli Austro-Ungarici si infrangevano contro l'accanita resistenza dei nostri alpini.
La lotta si sarebbe protratta sino a sera inoltrata, con pesantissime perdite tra i nostri combattenti. Tra queste, intorno alle sette di sera, anche quella del valoroso sottotenente Vittone che, colpito alla testa, sarebbe spirato poco dopo. Il maggiore Pasquali, pur di tener fede ai suoi ordini, dovette riportare "ben cinque ferite" prima di abbandonare il comando, per essere trasferito al posto di soccorso. Da lì, date le sue gravi condizioni, fu poi trasferito presso l'Ospedale civile di Bassano, ove spirò il giorno 16.
Il riassunto storico ricorda che "Nel battaglione, già decimato, il giorno 8 di tutti gli ufficiali esiste[va] un solo capitano": infine, tra gli ufficiali del "Val Maira" si dovettero contare undici feriti,  tre dispersi e due morti , il sottotenente Vittone e il maggiore Pasquali. Tra la truppa, invece, cinquantuno morti, duecentoquarantaquattro feriti e centouno dispersi.

Come nostro uso, crediamo giusto concludere questo breve ricordo con la motivazione della Medaglia d'Argento al Valor Militare che fu poi concessa alla memoria di questo valoroso alpino, venuto dalla Sicilia a sacrificare la sua vita su quelle aspre propaggini d'Italia, e che ci pare ne resti quale migliore epitaffio:

In ripetuti combattimenti diede mirabile esempio di calma imperturbabile e di valore. Al suo comandante di gruppo, che gli faceva raccomandazioni di resistere ad ogni costo, rispose fieramente: “Resteremo fino all'ultimo soldato! Viva l’Italia!”. Non curante di sé, si espose arditamente ove maggiore era il pericolo, finché cadde colpito a morte. – Castelgomberto-Monte Fior, 5-8 giugno 1916”.


A cura di Niccolò F.


NOTE
[1] In G.U. n. 94 del 22 aprile 1897.
[2] In quelle date, presso Derna, combatterono il Battaglione "Saluzzo", del 2° Reggimento, e l'"Edolo", del 5°.
[3] In G.U. n. 202 del 24 agosto 1914.
[4] AA. VV., L'Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), ivi, p. 190.

BIBLIOGRAFIA
- AA. VV., L'Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), Vol. III, Roma, Libreria dello Stato.
- Riassunti Storici dei Corpi e Comandi nella guerra 1915 - 1918 , Roma - Libreria dello Stato.